AREE STORICO
ARCHEOLOGICHE

L'INSEDIAMENTO DI PRIO'

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LE STATUE DI SMARANO

Qui, nel paese di Smarano celebre per un passato caratterizzato dall’industria del lino e della canapa, nel 1982 vennero ritrovate, in un campo, due statue di età romana. Risalenti al I secolo d.C., esse raffigurano due tra le divinità più popolari nel panorama sacro dell’età romana, la Vittoria e la Fortuna. Oggi le statue sono esposte nel Museo Retico di Sanzeno.

DOSS TAVON
E IL SUO "TESORO"

L’insediamento di Tavon è certamente antico, se pensiamo ad alcuni ritrovamenti fatti sul locale Doss, risalenti al Neolitico, e al rinvenimento di un cippo funerario con scritte in etrusco.
Il nome del paese viene dal latino tofus, burrone: si tratta di quello che dà sulla forra di San Romedio e infatti da Tavon è facile raggiungere il celeberrimo omonimo santuario. Ma Tavon è anche famosa in ambito storico e archeologico per una clamorosa truffa, legata al favoloso “tesoro di Tavon”. Correva l’anno 1772 quando un contadino del paese, Bartolomeo Vincenzo Stancher, iniziò a raccontare ai compaesani di aver trovato, arando un campo che lavorava per la famiglia Thun, monete d’oro per 124 libbre, ovvero circa 46 kg! Lo Stancher raccontò quindi di aver parlato della cosa con il primissario, don Giovanni Gaspare Ziller, il quale si era offerto di comprare il tesoro. Ma la storia era inventata e lo Stancher voleva con questo trucco rientrare nelle grazie dei Thun che lo avevano licenziato per scarso rendimen-
to. Dato che la legge prevedeva che un terzo di simili ritrovamenti andasse al proprietario del fondo, ovvero i Thun, questi ultimi intentarono causa contro l’ignaro don Ziller, accusandolo di essersi indebitamente appropriato del tutto, ingannando così non solo i nobili Thun ma anche il fisco. Lo stesso Stancher giurò di aver venduto il tesoro per 2000 fiorini, avendone fino ad allora ricevuti però solo 200. Gli accusatori furono creduti e don Ziller finì in prigione a Rovereto nel 1773, essendo suddito tirolese, mentre alla fine dell’istruttoria venne chiesta la sua condanna. Tuttavia, il principe vescovo di Trento Cristoforo Sizzo de Noris, interessato della questione, prese le difese di don Ziller e affidò al consigliere aulico, il celebre giurista di Taio Francesco Vigilio Barbacovi, di andare in fondo alla questione. La cosa arrivò fino all’attenzione dell’imperatrice Maria Teresa, palesandosi presto l’infame calunnia riversata sopra l’innocente don Ziller. Si arrivò così al 1777, anno di conclusione del processo, con la piena assoluzione, arrivata dopo quattro anni di carcere. Al sacerdote vennero restituiti tutti i beni, oltre ad un risarcimento di 300 fiorini. Non solo: Maria Teresa gli conferì il titolo di cappellano di corte, con vitalizio e un appartamento in Innsbruck. Don Ziller morì a Sanzeno a 81 anni, nel 1797.

Ma che ne fu dei calunniatori e dei funzionari corrotti? Il giudice in Brentonico Gervasi venne sospeso e processato; ad una multa salata e al bando furono condannati alcuni giudici di Innsbruck e i falsi testimoni. Lo Stancher venne incarcerato a Innsbruck, processato e condannato a morte il 4 agosto 1777: solo all’ultimo Maria Teresa lo graziò, facendolo frustare pubblicamente dal boia e quindi convertendo la pena nel bando perpetuo. A noi resta la storia di un mitico tesoro.

L'ACCAMPAMENTO STORICO DI LAGHET

Il nostro viaggio nella storia più antica delle comunità di Predaia inizia da un luogo di straordinaria importanza, più precisamente nel paese di  Tres, scoperto nel 2010 e da allora indagato dagli scienziati del MUSE di Trento.
Esso ci riporta agli anni del Paleolitico Finale, ovvero a 12.000 anni fa. Si tratta di un accampamento preistorico, uno dei più antichi insediamenti umani rivenuti finora in Val di Non, che ha restituito numerosi reperti, a partire da una piccola selce modellata a trapezio, la punta di una freccia dei cacciatori preistorici. Il luogo, una conca prativa di proprietà di Carlo Sicher, si trova a 1430 m di quota e venne scoperto nel 2010 da Klaus e Nandi Kompatscher, collaboratori della Sezione di Preistoria del MUSE. I primi interventi di scavo hanno portato al ritrovamento di numerose schegge e lamelle prodotte dalla scheggiatura della selce consentendo di ipotizzare che la scelta del luogo, come accampamento stagionale per la caccia, fu dovuta alla presenza della selce locale utilizzata dall’uomo come materia prima per la realizzazione degli strumenti per cacciare. A guidare la ricerca sul campo è ora il paleontologo Giampaolo Dalmeri.
Per la sua importanza nel contribuire alla conoscenza dell’evoluzione delle società preistoriche alpine, il sito è entrato a fare parte del progetto di ricerca Ydesa (Younger Dryas and Evolution of Human Societas in Alpine Region) condotto da Rossella Duches, cofinanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, con la collaborazione della Sezione di Preistoria del Museo delle Scienze di Trento con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Ferrara.

SITO DI
SAN MARTINO

Un luogo antico e affascinante, tanto da diventare simbolo di questo viaggio nella storia del territorio della Predaia. Posto nei pressi di Vervò, si tratta del sito di San Martino con l’omonima chiesa: il complesso è sorto infatti su un castelliere (luogo di rifugio) preistorico, sul quale si insediò un “castellum” romano a guardia della via che saliva dalla Valle dell’Adige in Val di Non.
Numerosi ritrovamenti di età romana rendono questo luogo di particolare importanza storica. Lo stesso nome del paese di Vervò viene dal termine etnico di origine prelatina Vervasses: e Castellum Vervassium (sul dosso di S. Martino a Vervò), se non il più antico è certamente il più importante dei villaggi preromani in Alta Anaunia, grazie alla sua dislocazione rispetto al crinale con la Valle dell’Adige.
La ricerca archeologica sul posto è stata condotta, dal 2008, dall’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia. Il paese di Vervò è noto agli archeologi soprattutto per il ritrovamento di 17 iscrizioni di epoca romana, di cui 16 sacre e una funeraria, avvenuto tra XVIII e XIX secolo. Gli scavi condotti nel 1890-91 da Luigi de Campi, nonché i rinvenimenti effettuati da Francesco Gottardi negli anni ‘30 e ‘40 del Novecento, documentarono tracce di presenza umana sul dosso di San Martino dalla preistoria all’epoca altomedievale.
Le indagini avviate dalla Soprintendenza grazie ad uno stanziamento economico triennale assegnato nell’ambito del Patto territoriale della Predaia, hanno confermato la notevole importanza del sito, mettendo in luce resti murari riconducibili a distinte fasi cronologiche di frequentazione, dalla protostoria al Basso medioevo. Allo stato attuale le testimonianze più significative sono inquadrabili nell’ambito della cultura retica o di Fritzens-Sanzeno della seconda età del Ferro e in epoca altomedievale. In particolare è stato individuato un nucleo funerario altomedievale (VI-VII sec. d.C.), di cui ancora rimangono nove sepolture ad inumazione, alcune delle quali accompagnate da pregevoli oggetti d’ornamento facenti parte dei corredi personali. Tali oggetti, sottoposti a restauro, si trovano esposti al Museo Retico di Sanzeno.
Nei pressi dell’antica area archeologica romana è sorta la chiesa di San Martino, con un’intitolazione che probabilmente è da collegare alla presenza e alla devozione longobarda e franca, documentata nel 1389 e della quale si parlerà in dettaglio nella sezione dedicata agli edifici sacri di Predaia.